Menu
Cesare Battisti è un assassino. Però si può dialogare (La Nuova Sardegna, 30 marzo 2019)

Cesare Battisti è un assassino. Però si può dialogare (La Nuova Sardegna, 30 marzo 2019)

Infine, il carcere ha smussato, modellato, ha restituito quella verità che lo Stato aveva ricercato per anni. Cesare Battisti, dal penitenziario di Oristano, dove attualmente sta scontando l’ergastolo, ha ammesso i quattro omicidi, le gambizazzioni, le rapine. Delitti per i quali, negli anni, si era sempre proclamato innocente. Delitti per i quali aveva sempre proclamato la sua innocenza, la sua totale estraneità. Aveva anche dichiarato che si sentiva un perseguitato politico. Qualcuno aveva storto il naso, molti gli avevano creduto. Forse troppi. Quando lo catturarono aveva quello sguardo opaco, distante. In carcere Cesare Battisti ha dovuto, forse per la prima volta, guardarsi in faccia, contarsi le rughe che negli anni non erano scomparse. Così come le sue vittime: il maresciallo degli agenti di custodia Antonio Santoro, il gioielliere Pierluigi Torregiani, il commerciante Lino Sabbadin, ed ancora l’agente della Digos Andrea Campagna.  Dietro questa maledetta Spoon River italiana, dentro i silenzi, i complotti, i depistaggi, dentro le storielle di una guerra che solo una parte aveva dichiarato contro uno Stato imperfetto ma democratico, all’interno di queste strade colme di sangue e di inutili proclami si è mosso Cesare Battisti ed insieme a lui altri “terroristi”, in un crogiolo di ideologia folle e destinata a soccombere. Un cancro che ha distrutto molti giovani della mia generazione e ha segnato tutti quelli che hanno assistito inermi a questa stupida e crudele battaglia contro uomini che avevano famiglie, storie da raccontare, uccisi barbaramente solo perché rappresentavano, secondo gli assassini, un simbolo da abbattere.

La confessione di Cesare Battisti restituisce una certa verità e riporta indietro le lancette di una storia sbagliata fin dall’inizio, una storia stonata perché si è utilizzato uno strumento imperfetto, si è deciso di colpire il cuore dello Stato e si sono scelti bersagli che erano uomini normali, con le loro idee, le loro vite, i loro affetti e che, in molti casi, servivano quello Stato nato dalla Resistenza, quello Stato che aveva trovato negli anni le difese per combattere il fascismo e che si trovò sgomento da un attacco da chi si professava di estrema sinistra. La frase che non ho mai compreso era ed è ancora: “Sono compagni che sbagliano” e non ho mai sopportato e non sopporto chi, ancora, chiama Cesare Battisti “comunista” come se quella parola fosse un insulto e non, invece, l’appartenenza ad una ideologia che ha combattuto contro le brigate rosse, i Nap, i Pac. Comunista era Gramsci ma lo era anche Guido Rossa, operaio ammazzato barbaramente dalle brigate rosse: assassini, non certo compagni che sbagliavano.

Era importante che Cesare Battisti chiarisse alcuni passaggi. Era necessario fare i conti con la storia, dare il vero volto all’assassino di quattro persone, restituire dignità a quei morti e ad uno Stato che attraverso i giudici ed un equo processo aveva ben sentenziato. Cesare Battisti merita l’ergastolo? Ci troviamo davanti ad un nuovo scenario che suggerisce diverse considerazioni. A pelle, la riapertura di quelle ferite non aiuta alla riflessione. Occorre però continuare ad essere Stato di diritto, ad aggrapparsi alla costituzione nata dalla resistenza e rammentare che le pene – tutte le pene – devono tendere alla rieducazione del condannato. Cesare Battisti ha confessato. Il carcere è la risposta di uno Stato ferito, di uno Stato che non dimentica. Però il passaggio per quanto lungo e tortuoso passa per la comprensione e l’ascolto. La condanna era ed è  giusta, giustissima, meritata. Occorre riflettere su come proseguire in questo percorso doloroso e lungo che passa attraverso la dignità delle vittime. Ma non si può tradurre in semplice vendetta. Non siamo compagni che sbagliano e la certezza del diritto cammina sul solco dell’articolo 27 della Costituzione, quella tanto amata da tutti ma sempre difficile da applicare. Merita l’ergastolo ma merita, anche e soprattutto, la possibilità di rimediare. Buttare la chiave è segno di debolezza. Questo Stato ha gli anticorpi per sedersi sul tavolo dell’ergastolo ed ascoltare.