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Piano zero

Piano zero

IL PIANO ZERO E’ STATO PRESENTATO A:

9 novembre 2011 ore 20.00 – Cagliari – Ristorante Greta’s, Castello. a cena con l’autore. Con Carlo Renoldi, Magistrato.
12 Novembre 2011 – ore 19.00 Alghero Il libro  presso la sala Conferenze del Liceo classico, fronte libreria Il labirinto Mondadori
20 Novembre 2011 -ore 18.30 – Putifigari -festival Narami
25 Novembre 2011 – ore 19.00 – Ittiri – Libreria il labirinto Mondadori
26 Novembre 2011 – ore 19.00 Porto Torres – Libreria Koinè
3 dicembre 2011 – ore 19.00 CAGLIARI – ore 19.00 Castello di S. Michele
4 dicembre 2011 – ore 11.00 aperitivo con l’autore. Biblioteca comunale Quartu S.Elena
7 dicembre – ore 18.30 Cargeghe – biblioteca comunale
10 dicembre – ore  20.00 Sassari, al vecchio mulino. A cena con l’autore
9 dicembre – ore 11 Aperitivo presso la libreria KOINE’ – Sassari, via Roma
13 gennaio  2012 – Nuoro, libreria Mondadori
25 marzo 2012 – Bologna, libreria via Induno
7 Aprile 2012 – Roma, libreria Blackstone
10 maggio 2012 – Muravera. biblioteca comunale
12 settembre 2012 – Mandas- festival della letteratura

RECENSIONE UNIONE SARDA DI PIETRO PICCIAU –  31-12-2011

Il terrorismo riletto trent’anni dopo. La cronaca e i volti, levittime, chi ha tramato e tradito, chi ha combattuto e perso. Nel romanzo “Il piano zero”(Arkadia Editore), GiampaoloCassitta racconta una lunga e tragicastagione di misteri seguendo il filorosso di una passione giovanile mai dimenticata. Nell’affresco dello scrittore oristanese ruoli e personaggi di fantasia, ullo sfondo di stragi eattentati veri, diventano le colonne di una narrazione asciutta e diretta,dedicata «a tutte le vittime e ai loroparenti e a chi ancora crede in questoStato».
Il romanzo-dedica («per non dimenticare», avverte Cassitta) è un viaggio a ritroso sulla strage di Bologna, avvenuta la attina del 2 agosto 1980. Claudio,magistrato di sorveglianza, viene quasi sospinto dal vecchio amico poliziotto Gianvittorio a rivedere Violetta, antica fiamma del protagonista passata alla clandestinità negli anni di piombo. È lei, riaffiorata da un passato plumbeo ormai lontano, che vuole incontrare Claudio. È lei, soprattutto, che ha deciso di svelare alcuni dei più mpenetrabili misteri della storia recente d’Italia.
Cosa c’entrino la terrorista Violetta e lo sbirro Gianvittorio con la strage di Bologna è per Claudio di difficile interpretazione. Anche perché nel racconto rivendicano peso e spazio (ottenendolo) i veri protagonisti della lotta armata italiana: le Brigate Rosse, i Nar, i Nap, i servizi segreti deviati ma anche i depistaggi. Affiorano anche i “gladiatori” – i soldati di Gladio – e altre entità che ordiscono nell’ombra di un’Italia che in quegli anni fatica a essere normale.
Il cuore dello Stato, obiettivo non soltanto delle Br ma anche dei terroristi neri, nella storia vera e nel romanzo è un qualcosa di presente ma anche di evanescente. Il potere di chi non appare mai, per esempio, ma che organizza e vigila su ogni trama ed è più pericoloso di chi spara e mette le bombe.A rivelarlo a Claudio è un personaggio centrale del romanzo, un nome che – come tanti negli anni di piombo – cambiava spesso identità e copertura. Ma perché Claudio ecide di imbarcarsi ad Alghero sul primo volo per Roma? Per rivedere Violetta o scoprire chi ha azionato il timer della bomba sistemata nella stazione di Bologna? Davvero la ragazza è addentro ai misteri del terrore da poter dare un impulso decisivo per la scoperta della verità? Claudio sa di incamminarsi su un sentiero accidentato che può riservargli soltanto guai professionali. Ma la curiosità – il desiderio di scoprire qualcosa di inquietante, per lui che è stato un pubblico ministero – è più forte della ragione.
Il finale riserva non poche sorprese, tuttavia è il viaggio-inchiesta del protagonista su fatti e uomini degli anni tragici degli attentati che cattura l’attenzione e appassiona il lettore. Trame e coincidenze, gladiatori e agenti da immolare concorrono a rendere il romanzo avvincente. Come nelle spy story, i dettagli sono importanti e le figure all’apparenza marginali riservano colpi di scena inattesi. Se lo scopo di Cassitta era ripercorrere fatti e misfatti dell’epoca del terrorismo perché quegli anni non vengano dimenticati, “Il piano zero” ha colto nel segno.

Pietro Picciau

RECENSIONE UNIONE SARDA – 17 OTTOBRE 2011

Poeta, pittore, musicista, Giampaolo Cassitta non è uno che ama i temi facili. Perciò s’inoltra nel suo ultimo romanzo nei meandri e nei misteri della storia recente d’Italia e su questi costruisce la trama di un libro tra cronaca e invenzione. Al centro della storia, una brigatista, un giudice e un poliziotto. Triangolo d’amore e d’amicizia che si è impigliato, forse dissolto, nei diversi destini dei protagonisti ma guida ancora, dopo molto tempo, le loro scelte e i loro (pessimi) umori.“Il Piano Zero”, edito da Arkadia (pagine 160, euro 14, in libreria da domani) rievoca la stagione delle stragi, i morti della Stazione di Bologna, di Ustica, della Banca dell’Agricoltura a Milano. Dei servizi deviati, dell’uccisione di Aldo Moro, del terrorismo rosso e nero, di tutte le connessioni mai del tutto chiarite tra colpevoli, mandanti e fiancheggiatori. Dello stato e dell’antistato, di Gladio e della massoneria, delle organizzazioni parallele e degli addestramenti paramilitari. Giampaolo Cassitta è Direttore nazionale dell’ufficio detenuti e trattamento prap per il ministero di Grazia e Giustizia. Esercita dunque un mestiere che ha molto a che fare con magistrati e investigatori e ha pubblicato libri dai titoli inequivocabili. Tra essi, “Asinara, il rumore del silenzio”, “Supercarcere Asinara, viaggio nell’isola dei dimenticati”, “La zona grigia, storia di un sequestro di persona”, “Il giorno di Moro”.Il personale è politico, si diceva secoli fa. Ed è questa convinzione ad avere impedito a Claudio Marceddu, ora disilluso giudice di sorveglianza ed ex pubblico ministero, di dichiarare il suo amore alla bella Violetta, compagna passata alla clandestinità. Sono trascorsi decenni, da allora, e tutto si è spento. O, forse no, se basta una telefonata nel cuore della notte per ridestare antiche mai sopite passioni. A interrompere la grigia routine del dottor Marceddu, l’amico di una volta, il commissario Gianvittorio Loriga, poliziotto della Digos. Personaggio abbastanza ambiguo, sembrerebbe, e sfuggente, ma in grado di mettere in moto un meccanismo destinato a travolgere assodate certezze. A complicare la ricerca della verità, un carcerato che sa molte cose, un elegante funzionario, uno strano suicidio. E una serie di appuntamenti da spy story nei luoghi più svariati, da via Asiago a Roma al Faro di Capo Caccia passando per la collina bosana di Poglina. La narrazione di Giampaolo Cassitta procede con ritmo serrato verso un epilogo di cinico realismo. A diluire la tensione, una buona dose di metafore e citazioni cinefile e letterarie. E la colonna sonora dei Pink Floyd, di Guccini, De Gregori, Fabrizio de André. Musica rilassante per il tormentato giudice che si riscalda con qualche bicchiere di Armagnac. L’ultimo dei comunisti, lo chiamano. O l’ultimo degli idealisti. Egoista e troppo dedito alla politica, lo accusa la ritrovata e mai dimenticata Violetta. Costretto ora a interrompere la vita tranquilla in cui si è rifugiato per scoprire che nel luciferino progetto del Piano Zero, ben custodito nella cassaforte della questura di Sassari, c’è qualcosa che riguarda anche lui.
Alessandra Menesini Unione sarda , 17 ottobre 2011

RECENSIONE MENSILE “LE DUE CITTA’” – DICEMBRE 2011

I magistrati abbondano tra i protagonisti (nonchè tra gli autori) di romanzi, ma tra loro scarseggiano quelli di sorveglianza, forse perchè ritenuti meno “dinamici” dei colleghi procuratori.
Ci voleva Giampaolo Cassitta che, oltre ad essere scrittore poeta e musicista è anche stato educatore carcerario (attualmente è direttore dell’ufficio detenuti e trattamento del Provveditorato di Cagliari), per assegnare ad un magistrato di sorveglianza il ruolo di protagonista e voce narrante di una vicenda tutta agilmente giocata su linee di confine: tra passato e presente, amicizia e amore, cronaca e invenzione, pubblico e privato. Al centro della storia oltre a Claudio, il magistrato, l’amico poliziotto Gianvittorio e Violetta, brigatista mai pentita che si affaccia alla clandestinità per rivelare una deflagrante verità sulla stagione delle stragi e per sconvolgere certezze, pubbliche e anche molto private.
“Il piano zero” segue “Asinara, il rumore del silenzio,” (2001) “Supercarcere Asinara (2002) entrambi di Frilli editore, il saggio “la zona grigia, cronaca di un sequestro di persona” (2005 Condaghes) e “IL giorno di Moro” (Frilli 2006). Da “la zona grigia” è stato tratto uno spettacolo musicale accompagnato da musiche e canzoni degli Humaniora.

Un’ intervista con Giampaolo Cassitta, autore de “Il piano zero” (Arkadia Editore) a cura di Lorenzo Mazzoni
 il piano zerocon sottofondo de “Nella mia ora di libertà”, di Fabrizio De André

“Claudio, magistrato, è passato indenne attraverso le difficili stagioni che hanno caratterizzato il passato recente d’Italia. Le stragi, i servizi segreti deviati, i depistaggi, le BR, i NAR. Quando oramai è convinto che la sua carriera si sia assestata in una placida quotidianità, all’improvviso, i tempi andati tornano a bussare alla porta rumorosamente. L’amico poliziotto Gianvittorio lo aiuta ad incontrarsi con Violetta, l’amata compagna degli anni giovanili, brigatista mai pentita, pronta a fargli una rivelazione sconvolgente. È lei infatti che ha custodito per decenni un segreto che potrebbe spiegare molti dei fatti che, tra gli anni ’70 e gli anni ’80, hanno sconvolto l’Italia: la strage di Ustica, il treno Italicus, piazza Fontana. E la strage di Bologna. Tutte le certezze acquisite da Claudio si sgretoleranno progressivamente. Perché Violetta non è solo una brigatista incapace di riconoscere i propri errori. Violetta è il paradigma di una esperienza vissuta follemente, il mistero esistenziale che Claudio deve assolutamente svelare se vuole arrivare, finalmente, al fondo della questione.” Pensa che gli “anni ’70” e le derive estremiste che li hanno accompagnati siano ancora molto attuali nello spirito italiano?

R. Sono molto vive nella generazione che le ha vissute e mantengono un carattere indelebile. Gli anni 70 sono stati caratterizzati da una serie di fatti che hanno modificato, per sempre, i giovani che, a quei tempi avevano intorno ai vent’anni. Era un periodo cupo, caratterizzato dal terrorismo dall’ideologia imperante, dall’obbligo allo schieramento netto, dalle mode che dipingevano i tratti dei comportamenti: c’erano cose di destra e cose di sinistra ed ognuno si integrava all’interno del suo status. Si viveva un momento molto confuso e con un futuro piuttosto complesso. Se ne usciva dal periodo del 1968 e si organizzava il 1977 con slogan forti, decisi. C’era il movimento, gli indiani metropolitani, l’area dell’autonomia operaia, la creatività al potere, una risata che doveva seppellire il tutto, la dissacrazione. Le idee camminavano nei volantini, nelle assemblee, c’era la scoperta del sesso come liberazione, lo slogan che il privato fosse politico. Erano, chiaramente grandi illusioni, piccoli attimi, cuori pulsanti che convivevano però con una scelta netta di alcuni giovani di quel periodo: la lotta armata. E’ stata questa la cartina di tornasole di quegli anni rinominati di piombo. Vi è stata l’impossibilità di un dibattito che, seppure con molte asprezze, riuscisse a cambiare la classe politica sorda e cupa agli avvenimenti del periodo.

Rispetto ad altri testi che vedono un magistrato come protagonista il suo “Il piano zero” ha più il ritmo di un poliziesco, scritto con un registro inusuale per la letteratura giudiziaria. Quali sono stati i “Cattivi Maestri” che hanno ispirato questo ritmo di scrittura?

R. Mi è sempre piaciuto raccontare con una certa enfasi le cose. Mi piaceva l’idea che il mio Magistrato si muovesse dentro le parole in un periodo molto confuso. Il poliziesco, poi, doveva ricordare le indagini di quel periodo, il modo di verificare le prove ancora artigianalmente, il gioco del complotto molto in voga alla fine degli anni settanta. Mi piace, per esempio, il ritmo esagitato imposto dall’immenso Gian Maria Volonte in “indagine di una cittadino al di sopra di ogni sospetto”, era un buon punto di partenza, giocare con il cinsimo e con l’inverosimile. Ma anche Scebarnenco, quella Milano borghese e cupa, con qualche spruzzo lirico di Amado quando racconta delle lotte per il cacao. Ma anche King, in alcuni tratti, Adler e punti di ironia del grande Montalban.

Nel libro non ci sono vincitori o vinti, ma solo vittime di un “percorso storico”. La scelta è stata voluta dall’inizio oppure è stato l’evolversi della storia a farle dipanare un’analisi così oggettiva?

R. No, per chi ha vissuto quegli anni sa benissimo che tutti hanno delle ferite indelebili. C’è stata una lotta, una divisione terribile, dolorosa, dove nessuno ha vinto. Il potere si è solo difeso, arroccandosi contro la violenza armata e questo era legittimo, ma nessuno di loro si è fermato ad analizzare perché ragazzi di vent’anni decisero di distruggere la propria vita ed abbracciare un ideale perdente. Le brigate rosse poi, non capirono, fino in fondo un problema fondamentale: la massa, il popolo, i proletari, come li chiamavano, non c’erano dietro di loro. Quella lotta armata era, paradossalmente un gioco piccolo borghese che non trovava riscontri e con l’omicidio di Guido Rossa, il sindacalista della CGIL, si concluse definitivamente la loro offerta “politica”. I due schieramenti si trovarono così a prendere delle scelte senza aver fatto delle chiare analisi. Tutti, all’interno di questo minimalismo storico hanno perso anche perché quello che è scaturito è legato all’edonismo e al qualunquismo dilagante scaturito negli anni ottanta e novanta dove non c’erano più cortei studenteschi, non c’era la difesa della democrazia ma, piuttosto il nuovo slogan, metafora del paese: Milano da bere.

Già in passato si è occupato, in altri testi, di indagini con la Sardegna come cornice. Pensa che questo possa dare una connotazione originale ai suoi libri?

R. La Sardegna è un tatuaggio indelebile che mi porto dentro. Dico sempre che nessuno scegli il luogo dove nascere ma, quando ci si trova diventa irrimediabilmente suo. Far muovere i personaggi dentro la mia terra è chiaramente più semplice anche se, in realtà, ci sono molti spostamenti su Roma (sia nel giorno di moro che nel piano zero). La Sardegna è terra aspra, dura, piena di contraddizioni: sa respingere e sa avvolgere, riesce a regalare una cornice solitaria ma anche densa di parole. Claudio, per esempio, è un personaggio che rappresenta bene tutti gli stereotipi del sardo ma anche l’esatto contrario: è irascibile, testardo, solitario ma, in fondo è terribilmente romantico e fragile.

Nel romanzo sono presenti molti riferimenti alla cultura popolare degli anni ’70. Come si è documentato?

R. Gli anni settanta li ho vissuti intensamente. Ho scritto anche io volantini per la scuola, ho usato il ciclostile modello Gestetner, avevo a casa tutti i dischi che ho citato e dal 1976 al 1984 ho lavorato in una radio libera dove ho potuto vivere quegli strani anni. Mi occupavo di radiogiornale e di musica di autore. E’ stato quindi un privilegio riuscire a raccontare gli attimi che si vivevano. Il sequestro e l’omicidio Moro, la strage di Bologna. Poi c’è stata una sorta di rimozione dovuta probabilmente al nuovo impegno lavorativo. Solo dopo molti anni tutto è ritornato, lucidamente. Ho solo fatto piccole ricerche per i riscontri sotirci, per verificare bene alcune date ma quegli anni sono vivi, terribilmente e fantasticamente vissuti in prima persona.

Sono inoltre presenti brani di canzoni e riferimenti a cantautori di quegli anni. E’ stata importante questa colonna sonora per la stesura de “Il piano zero?”

R. La musica è una delle prerogative della mia esistenza. Da giovane adolescente imparavo le canzoni a memoria, a furia di sentirle nel giradischi Geloso. Consumavo i 45 giri e i 33 giri. Per me, ancora oggi, alcune canzoni rappresentano la colonna sonora della mia vita. Ci sono passaggi, scelte di vita legate indissolubilmente alle canzoni. Da Lolli a De Andrè, a De Gregori, Venditti per quanto riguarda gli italiani ma anche Credence, Deep Purple, Led Zepelin, Queen, Pink Floyd hanno generato i battiti della mia esistenza. La canzone è il manifesto delle mie azioni. Anche oggi ho tutte le canzoni dentro l’I pod. Circa 3400 “vecchie note” che continuo ad ascoltare e mischiare con nuove tonalità.

Quale è stato il metodo di stesura del libro? Ha scritto tutti i giorni? Ha un metodo di lavoro quotidiano?

Sono uno scrittore da “impulso”. A volte resto mesi senza scrivere una parola e mi tengo tutto dentro. Disegno con la fantasia molte sceneggiature che poi scrivo di colpo. A volte devo trovare la soluzione, devo trovare la giusta risposta e mi rifermo. In alcuni casi ho scritto interi capitoli in meno di un’ora per poi rivederli e correggerli a distanza di mesi. Credo che non ci sia un metodo per scrivere. C’è solo la passione. Mi piace costruire storie, far muovere i personaggi, farli arrabbiare, sorridere, innamorare. Mi piace giocare con la vita, con la possibilità di poter incidere in alcune scelte. Scrivere è un allenamento per vivere meglio, per superare certe asperità. Quando non sono d’accordo, quando non mi ci trovo in certi scenari , quello è il momento per scrivere.

Vede una speranza nel mondo dei lettori contemporanei?

R. L’era digitale sta modificando il modo di leggere e di informarsi. Non credo però che il libro cartaceo sparisca del tutto. Abbiamo sempre l’esigenza di toccare qualcosa, di sentircelo terribilmente vicino per consultarlo. Si vive in maniera molto vorticosa. Abbiamo tutti un blog e tutti scriviamo qualcosa ma senza soffermarci. Vedo molta velocità, molta voglia di cambiare, che è lecita ma vedo anche poca creatività. I giovani si rifugiano in letture programmate, i vampiri, i maghetti, tutto fuori dalla realtà. Nessuno sembra avere la voglia di andare a capire cosa è successo, perché abbiamo fatto questo tragitto, perché il mondo si trova da queste parti, perché il nostro paese ha queste contraddizioni. Bisogna riscoprire il gioco della memoria attraverso la lettura. Spero si possa ritornare al racconto, al romanzo classico che si muove tra gli umori della gente e spariscano i vampiri e le fantasie inutili.

Ha in cantiere nuovi romanzi? Come sta andando la promozione de “Il piano zero?”? Sta avendo un riscontro positivo dal pubblico?

R. Il piano zero ha un suo format molto originale. La presentazione è un piccolo spettacolo con la chitarra dove il protagonista del romanzo Claudio Marceddu, prova a raccontarsi attraverso le canzoni di quel periodo e prova a raccontare la sua storia d’amore con Violetta. Lo spettacolo si chiama Un bacio all’improvviso (frase tratta da “con tutto l’amore che posso di Claudio Baglioni) e ripercorre quegli strani anni con allegria e malinconia. La presentazione, in questo modo, è molto apprezzata dal pubblico che sorride in maniera amara.
Il mio prossimo futuro è piuttosto complesso. Lavoro a molte cose, è appena uscito un lavoro teatrale in musica, rappresentato da alcuni attori e ottimi musicisti. Sto lavorando ad un nuovo romanzo ambientato in una Sardegna del dopoguerra dove vi è stato uno strano omicidio ormai dimenticato e che ritornerà nella prima indagine di Claudio Marceddu che ritorna come sostituto procuratore negli anni 80. Ci sarà un incontro particolare, nel 1985, all’Asinara, un incontro che segnerà per sempre la vita di Claudio Marceddu. Inoltre, voglio raccontare la vita di una persona molto particolare che ha una tavolozza di colori molto variegata e ha vissuto per anni nella strada, alla ricerca degli uomini. Ma, per ora, sono solo contorni e le pagine per questa biografia sono bianche.

SI SONO OCCUPATI DEL PIANO ZERO:

il sito detenzioni.eu