
Il furto dell’adolescenza
Quando ci incontrammo, a Roma, nella redazione di Ora d’aria, non mi fece una grandissima impressione.
Lui era semilibero e lavorava all’interno della redazione del mensile per conto dell’Arci. Il nostro incontro era dovuto a un mio articolo che sarebbe stato pubblicato. Se non ricordo male, parlava di permessi premio e diritti dei detenuti.
Alberto Franceschini rappresentava, per me, quello strano personaggio che aveva, con Curcio e altri, fondato le Brigate Rosse e, in un certo senso, distrutto la mia adolescenza, costringendomi a cercare la verità e la giustizia da altre parti.
Non era propriamente un nemico, né un avversario.
Era, piuttosto, un ideologo che, pur partendo da concetti condivisibili, aveva imboccato strade per me non percorribili.
Il suo libro Mara, Renato ed io mi confermò quel percorso sbagliato fin dall’inizio: quel voler parlare in nome degli operai, degli studenti, del popolo, senza aver mai conosciuto davvero gli operai, gli studenti e il popolo.
Quando Franceschini fu recluso all’Asinara, io studiavo ancora all’università, ma di lui ho due ricordi.
Il primo è quello di un vecchio brigadiere che raccontava di un panino raffermo scagliato da Franceschini proprio contro di lui.
Il secondo è legato a Luigi Cardullo che, in un’intervista per il mio libro Gente di Asinara, mi confessò che Curcio e Franceschini rappresentavano, per lui, una sorta di scommessa: “Volevano prendere la Bastiglia”, disse, “ma non ci riuscirono”.
La rivolta del 1977 all’Asinara fallì.
Alberto Franceschini è scomparso in questi giorni (la notizia è stata battuta solo oggi dalle agenzie).
È stato un uomo sconfitto dalle sue convinzioni, uno che ha contribuito a un periodo terribile per il nostro Paese.
Uno — come dico sempre — che mi ha rubato l’adolescenza.
E questo, davvero, non glielo perdono.