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I giovani e la pistola - La Nuova Sardegna, 3.1.2017

I giovani e la pistola – La Nuova Sardegna, 3.1.2017

Come Pier Paolo Pasolini anche io provo una “profonda, antica, antipatia per chi porta una pistola in tasca” e penso, come capita al protagonista del film di Giuliano Montaldo “il giocattolo”, che se uno ha una pistola in tasca prima o poi la usa. Perché si gioca con le armi? Perché si spara ai lampioni del proprio paese come è accaduto a Buddusò la notte di capodanno; perché in Campania ancora oggi si usa festeggiare l’arrivo del nuovo anno sparando con dei proiettili veri? Pasolini ritiene che questo sia “infantilismo” e che predomini in chi usa le armi un’ossessiva sfiduc ia del prossimo. Credo non sia l’unica risposta o, comunque andrebbe adattata ai nostri tempi (l’articolo di Pasolini è del 1962 e, dunque, sono trascorsi ormai 55 anni) ma partendo da quell’infantilismo evidenziato dallo scrittore friulano si arriva a definire la caratteristica del giovane globalizzato dei giorni nostri: un ragazzo che si riconosce solo ed esclusivamente all’interno del suo branco, che è fondamentalmente vigliacco e “arrabbiato”. Quest’ultima prerogativa probabilmente si è aggiunta negli ultimi anni ed è “trasversale”: la rabbia concentra una violenza gratuita e la mancanza di senso civico riesce a fare il resto. I giovani di oggi combattono molte battaglie virtuali con videogiochi davvero violenti e non sono solo quelli catalogati come “sparatutto” che, tutto sommato, riportavano all’infantilismo pasoliniano. Oggi ci sono giochi che insegnano ad essere killer, ad uccidere gli islamici, i negri, a diventare boss e spacciare droga. I punti di riferimento sono quasi esclusivamente i soldi: tutto e subito. Roberto Saviano lo spiega molto bene nel suo ultimo libro: i bambini sanno che non avranno una vita lunga. La vogliono breve intensa e cattiva. Qualcosa si è rotto all’interno delle comunità dove si viveva per “abitudini”. Si è rotto l’incantesimo della memoria e del seguire gli anziani. Anzi, oggi i ragazzi hanno costruito un loro mondo completamente scollegato da quello degli adulti. Anche noi siamo stati ragazzi e abbiamo giocato a fare “i grandi”. Qualche piccola scorribanda magari ce la siamo pure vissuta perché l’adrenalina e il gioco del proibito contribuisce alla crescita. Siamo stati ragazzi e abbiamo provato a discostarci da quello che avevano fatto i nostri genitori, ma sui valori la nostra generazione è stata coesa. Non a caso il terrorismo (rosso e nero) non ha vinto perché i cattivi maestri non potevano avere un futuro. Abbiamo co
ndannato, da subito, chi tentava di utilizzare la pistola al posto delle parole. Oggi si assiste ad un ritorno alle armi, che certo non significa una riedizione del terrorismo così come lo avevamo vissuto noi nei nostri anni, ma giocare con le armi, mettere le bombe così come è accaduto a Firenze e dove un poliziotto ci ha rimesso la mano e un occhio è un segnale da prendere assolutamente in considerazione, anche se l’altrove ci impedisce di vedere questi piccoli suggerimenti. Il fronte dell’attenzione è spostato verso Berlino, Parigi, Istanbul e due lampioni rotti in un paese dell’entroterra sardo o una bomba rudimentale passano quasi inosservati. Ed invece dovremmo riflettere e non poco a quanto i nostri giovani disegnano nelle strade contorte della vita: essi ci dicono, nel loro infantilismo, che non c’è più attenzione per le piccole cose e l’odio ha preso il sopravvento. Ragionano in termini del tutto semplicistici: i bianchi da una parte, i neri dall’altra; i musulmani sono i cattivi, noi siamo i buoni. E non è così. Credono di essere una maggioranza che si sente forte e che può permettersi di alzare la voce. Non è così. Però dovremmo cominciare a raccontare che è inutile girare con le pistole in tasca. Il mondo dove vivranno è da costruire, mica da distruggere così puerilmente.