Menu
41 bis in Sardegna: un errore?

41 bis in Sardegna: un errore?

In questi giorni si è riaccesa la polemica relativa all’imminente trasferimento in Sardegna di detenuti sottoposti al regime speciale di cui all’articolo 41 bis dell’ordinamento penitenziario. Un dibattito alimentato, come spesso accade, più dalla contrapposizione ideologica che da un’analisi razionale e fondata sui dati normativi. È quindi necessario partire da un elemento oggettivo, quasi mai citato nel confronto pubblico: la previsione contenuta nella Legge n. 94 del 15 luglio 2009, “Disposizioni in materia di sicurezza pubblica”, approvata dal Parlamento italiano.

All’articolo 2, lettera f1, tale legge introduce una significativa integrazione all’articolo 41 bis, stabilendo che “i detenuti sottoposti al regime speciale di detenzione devono essere ristretti all’interno di istituti a loro esclusivamente dedicati, collocati preferibilmente in aree insulari”. Il termine “devono” non lascia margini interpretativi: il legislatore ha inteso rendere obbligatoria la detenzione in istituti dedicati, indicando come preferibile il loro collocamento in isole. Si tratta di un punto cardine della vicenda da cui anche la Presidente della Regione Sardegna, Alessandra Todde, dovrebbe partire per una lettura consapevole del problema.

Nel 2014 ebbi modo di discutere sul tema con un deputato sardo che, indignato per l’arrivo dei primi detenuti al 41 bis nel nuovo carcere di Bancali, sembrava ignorare che proprio il suo partito – il Popolo della Libertà – aveva sostenuto e approvato quella legge. Quel deputato era presente alla votazione in Aula. Alla mia obiezione, replicò che per “aree insulari” si sarebbero dovute intendere solo piccole isole come Pianosa, e non la Sardegna. Una giustificazione debole e opportunistica, considerato che nel 2009 il legislatore non indicò alcuna distinzione tra grandi e piccole isole, e che già nel 2011 gli istituti penitenziari sardi – Uta e Bancali – venivano modificati per accogliere apposite sezioni da 92 posti, dedicate al regime speciale.

Il governo in carica in quegli anni era presieduto da Silvio Berlusconi (Berlusconi IV), con Angelino Alfano al Ministero della Giustizia e una giovane Giorgia Meloni titolare del dicastero della Gioventù. Fu una decisione errata? Non necessariamente. L’intento di isolare detenuti pericolosi, lontano dai territori d’origine, rispondeva a una logica di sicurezza nazionale. L’idea di impiegare isole o territori geograficamente isolati – come la Sardegna – mirava a impedire il mantenimento di rapporti criminali e familiari che, anche all’interno del carcere, possono alimentare circuiti di comando.

Il problema non è, quindi, la scelta tecnica o logistica, ma la mancata condivisione politica e istituzionale. La Presidente Todde lamenta di non essere stata informata della decisione del Ministero della Giustizia, ma è utile ricordare che si tratta di un atto amministrativo di competenza esclusiva del governo centrale. Peraltro, il carcere di Uta dispone da oltre un decennio di una sezione appositamente progettata, con sala videoconferenze e matricola dedicata, predisposta fin dal 2012 per ospitare detenuti in regime speciale.

La vera domanda è un’altra: si sarebbe potuto aprire un confronto preventivo tra governo nazionale e istituzioni regionali? Senza dubbio. Ma ciò avrebbe richiesto una consapevolezza politica che è mancata negli anni. Non si registrano, infatti, proteste istituzionali significative al momento dell’approvazione della norma, né successivi tentativi di modificarla da parte dei governi che si sono succeduti.

Esprimere oggi contrarietà e sdegno è comprensibile, ma sarebbe più utile domandarsi perché – dal 2009 a oggi – nessuno abbia richiesto una revisione di quella disposizione, passata sotto silenzio anche con il voto favorevole dei parlamentari sardi allora al governo (PDL, Lega Nord e movimento per le autonomie). L’articolo 41 bis resta uno strumento essenziale nella lotta alla criminalità organizzata. La sua applicazione, tuttavia, richiede coerenza, trasparenza e soprattutto la capacità di affrontare il tema senza ipocrisie, partendo dai testi normativi e non dall’emotività del momento. La mia posizione è nota: è stato un errore prevedere le sezioni negli istituti di Sassari e Cagliari e, ritengo, si dovesse invece tentare di isolare questi detenuti destinandoli a diversi istituti, in numero molto ridotto, eliminando, ad esempio, il rischio di assembramenti di familiari e la possibilità, comunque concreta, che possano incontrarsi e scambiarsi notizie. L’ho detto per anni e lo ribadisco. Suggerisco alla Presidente Todde di chiedere ai partiti di opposizione una proposta di modifica del comma 2 quater dell’articolo 41 bis (contenuto nella Legge 354/75) . Altrimenti, sarà una battaglia irrimediabilmente perduta.