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I preservativi in carcere.

I preservativi in carcere.

Lo scandalo che ha investito il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria è legato a un apparentemente innocuo involucro di plastica: il preservativo. La parola, di per sé innocente (preserva da qualcosa, in questo caso dalle infezioni), risulta ancora poco trattabile nel mondo moderno, figuriamoci in un penitenziario.

Cosa è accaduto? La direttrice del carcere di Pavia, con un ordine di servizio motivato come misura a carattere “terapeutico”, ha disposto l’acquisto e la distribuzione di 720 preservativi ai detenuti. Ovviamente, per garantire l’assoluto anonimato, la consegna è stata effettuata all’intera popolazione carceraria.

Le polemiche non si sono fatte attendere. Sono subito intervenuti i sindacati di polizia penitenziaria, spostando l’attenzione su altre priorità: “La finalità non è chiara, ma ci sono problemi più urgenti, tra aggressioni e sovraffollamento”.

È vero, le priorità in questo paese – e dunque anche nelle carceri – sono molte, ma il problema messo nero su bianco dalla direttrice di Pavia è reale ed è, a suo modo, una questione sanitaria. Alcuni sindacati hanno dichiarato che questa scelta certifica il fallimento complessivo del sistema carcerario. Sanno benissimo, però, che il fallimento si misura su ben altre tare: una di queste è la strada intrapresa contro il trattamento, con la militarizzazione strisciante degli istituti penitenziari, trasformati nei numeri in luoghi di puro contenimento, dove la rieducazione è ormai assente.

Il fallimento del sistema nasce dal voler negare l’affettività, in nome di un falso pudore e di un moralismo ipocrita che serpeggia nel paese. Il fallimento nasce dal sovraffollamento, che secondo i sindacati può essere affrontato solo aumentando il numero degli agenti e costruendo nuove carceri: una visione oscurantista, tutta giocata sul contenimento, priva di prospettive.

Il Dipartimento ha fatto sapere, con il suo tipico stile burocratico, che “l’iniziativa risulta essere stata adottata senza alcuna preventiva interlocuzione con i superiori uffici. Tale circostanza appare di particolare rilievo, dal momento che incide su profili che attengono direttamente all’ordine e alla sicurezza penitenziaria”.

Ora, occorrerebbe comprendere in che modo un preservativo possa incidere sulla sicurezza penitenziaria, posto che i rapporti sessuali promiscui tra detenuti dello stesso sesso esistono da sempre. Si trattava solo di ammettere il problema e, magari, affrontarlo in maniera diversa. Ma la parola “preservativo” fa ancora paura. Meglio tacere e far finta di non vedere.

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