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Il bacio e la giustizia

Il bacio attraversa la storia dell’umanità come gesto universale, denso di significati: da quello tragico di Giuda a Gesù, a quello carico di compassione di San Francesco al lebbroso. Dall’amore impossibile di Romeo e Giulietta al fiabesco bacio del principe azzurro. Nell’arte, il celebre “Bacio” di Klimt e quello passionale di Rodin; nel cinema, il congedo struggente tra Rick e Ilsa in Casablanca. Persino la cronaca nera ne ha fatto uso, come nel celebre (e mai provato) presunto bacio tra Totò Riina e Giulio Andreotti: più mito mediatico che fatto accertato.

In questi giorni, due esposti inviati dall’amministrazione penitenziaria al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma riportano al centro dell’attenzione un gesto semplice ma, in questo caso, diventato oggetto di valutazione disciplinare: un bacio sulle guance e una stretta di mano. Protagonisti, i due legali di Alfredo Cospito, l’anarchico detenuto al regime del 41 bis nel carcere di Bancali a Sassari. Secondo quanto riportato, al termine di un colloquio, gli avvocati Maria Teresa Pintus e Flavio Rossi Albertini avrebbero salutato il loro assistito con un gesto che – in altri contesti – sarebbe considerato di semplice cortesia, se non addirittura scontato.

Eppure gli agenti del GOM (Gruppo Operativo Mobile della Polizia Penitenziaria) hanno segnalato l’accaduto alla direzione dell’istituto, che a sua volta ha inoltrato due esposti all’Ordine per valutare se quel comportamento sia compatibile con il decoro e i doveri deontologici della professione forense, “tenuto conto della caratura criminale dei soggetti ristretti presso il reparto 41 bis”.

Va detto con chiarezza: la normativa penitenziaria non vieta, né contempla esplicitamente, gesti di questo tipo. Il silenzio normativo, in casi come questo, richiama inevitabilmente al buon senso, alla sensibilità e alla professionalità di chi opera all’interno delle carceri. Ci si chiede: un saluto affettuoso ma non compromettente, in un contesto delicato e teso come quello del 41 bis, può costituire un illecito deontologico?

La risposta non può prescindere da un elemento fondamentale: il contesto. Un bacio a un capo mafioso come Totò Riina avrebbe un peso simbolico enorme, connotato da possibili implicazioni di appartenenza, di alleanza, o comunque di ambiguità. Ma un bacio a un detenuto come Cospito, per quanto condannato per fatti gravissimi, non può essere interpretato con lo stesso metro. Si tratta di un gesto umano, forse inopportuno in quel contesto, ma non per forza scorretto. Soprattutto se non vi è prova alcuna che dietro quel gesto vi fossero secondi fini, messaggi cifrati o segnali di collusione.

L’etica della professione forense si fonda su principi di indipendenza, rispetto della legge, e tutela dei diritti, anche — e forse soprattutto — di chi è ritenuto colpevole. Un avvocato non si identifica con il proprio assistito: lo difende, lo ascolta, lo accompagna nel labirinto della giustizia, anche quando tutti gli altri lo abbandonano. E proprio per questo merita rispetto.

Personalmente, nella mia lunga esperienza all’interno delle carceri italiane, non ho mai dato del “tu” a un detenuto: sempre il “lei”, per rispetto e per marcare il confine del ruolo. Non ho mai baciato un detenuto, certo. Ma non posso scandalizzarmi per quel bacio. Lo vedo come un gesto forse ingenuo, ma certamente umano. Una forma, magari simbolica, di resistenza al gelo del regime differenziato. Non un segnale di appartenenza, ma un gesto di normalità in una realtà spersonalizzante.

I detenuti non sono tutti uguali, così come non lo sono i reati. E anche il 41 bis, pur nella sua rigidità, dovrebbe sempre mantenere un margine minimo di umanità. Non possiamo pretendere che il carcere sia solo punizione. Altrimenti diventiamo tutti un po’ più poveri, e meno civili.

Il saluto di un avvocato — anche con un bacio — non cancella i crimini. Ma ricorda, sommessamente, che anche la giustizia ha bisogno di restare umana. Sempre.