
Capisco che la ferita sanguina, ed è difficile intavolare un discorso quando si piangono ancora le vittime. Capisco che la guerra tra Israele e la Striscia di Gaza (e quindi i palestinesi) è un argomento urticante e divisivo: se stai con Israele, sei quasi un servo occidentale; se stai con la Palestina, sei ignobile e macabro.
Ieri, al Concertone del Primo Maggio (però, anche questo Concertone ha forse bisogno di una rivisitazione), un gruppo giovane ed emergente come i Patagarri — che hanno partecipato all’ultima edizione di X Factor — ha intonato «Palestina libera» durante lo show, sulle note di Hava Nagila, brano della tradizione popolare ebraica.
Apriti cielo.
La reazione della comunità ebraica di Roma è stata durissima: «Pensate a cosa ha fatto Hamas dei nostri bambini, proprio sapendo che così ci colpivano nella cosa più sacra: la speranza. Ascoltare una nostra canzone dal palco del Primo Maggio, in diretta TV, culminante nel grido “Palestina libera!” — lo slogan delle piazze che invocano la cancellazione di Israele — è un insulto e una violenza inaccettabile».
Ha ragione Victor Fadlun?
Sì, ha ragione. Nella stessa misura in cui ci chiediamo cosa ha fatto Netanyahu dei bambini palestinesi, delle donne inermi, dei civili, degli ospedali — uccidendo la cosa più sacra: la speranza.
L’impossibilità di intonare liberamente una canzone è un insulto e una violenza inaccettabile.
Morale: non ci sono bambini palestinesi o israeliani. Ci sono bambini. A tutti è stata recisa la speranza.